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La misura dello zero - Recensione

Bruno Galluccio

La misura dello zero

Einaudi, 2015

 

I versi spezzano la continuità spazio-temporale. Il pensiero, angosciato e analitico, tesse finissime tele di ragno tra i frammenti di una visione sfaccettata del mondo. Lo sgomento si ramifica, come un grafo che disegni, disperatamente, il reticolo delle contraddizioni attraversanti l’universo emotivo. Scrivere della propria realtà sognata, o di quella altrui sfiorata col cuore, e appena immaginata, può essere un esercizio di equilibrio fra l’apparenza della percezione e l’elaborazione razionale. L’una serve all’altra, ma solo per rendere il quadro più intricato, più ricco di nodi inattesi che alludono a profondi abissi di ineffabilità. La poesia di Bruno Galluccio trasforma lo studio – della matematica, della fisica, dell’astronomia, della storia della scienza – in un’occasione per evadere, in modo originale e mai completamente definito, dal dolore provato di fronte ad una realtà troppo concreta per assecondare le morbide sfumature del linguaggio. E così la parola, costretta a saltare sopra i suoi spigolosi contorni, prende a muoversi con passo danzante, rigorosamente dettato dalla coreografia dell’astrazione. Questa prevede un incessante andirivieni tra l’interiorità dell’anima e l’esteriorità della natura circostante, fatta di cielo e terra, di aria piena di luce come di buio, nell’impossibilità di calcolarne esattamente la misura. La sostanza di questo racconto senza titoli né capitoli, non sono sequenze di numeri, bensì flussi di idee che tracciano, intorno allo zero, all’occhio di un ciclone-mistero, i contorni frastagliati di un’energia che non fornisce le risposte, bensì sostiene la volatilità delle domande con la meravigliosa potenza delle metafore. Intanto lo sguardo del lettore splendidamente si perde, rincorrendo inquiete scie di concetti. Insieme a loro volteggia, mentre ne segue l’acrobatica fuga nella notte della riflessione solitaria, per cogliere, in mezzo alle nubi dell’indeterminatezza, brillanti impalpabili come polvere di stelle.

 

Margherita Barile

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